Le forme di vita di un borgo sono in qualche modo collegate all’inconfondibile aspetto delle mura, delle strade, della luce che filtra dall’alto, dei tasselli di cielo blu che si vedono dalle finestre, dell’atmosfera ora polverosa ora nebbiosa, dei passanti, dei rumori attraverso la via…
Uno scorcio, una manciata di case ha un ordine sempre diverso e sempre simile, ma sempre familiare e inevitabilmente “originale”…è impossibile scordare “quella strada” di casa mia…del tutto individuale e del tutto fuori dal comune, ma anche necessariamente collettiva, comunitaria, di tutti. Come in un villaggio, questa casa sarà anche mia, ma non solo mia…
DEFINIZIONE IPOTETICA
L’Architettura Spontanea (non-pedigreed architecture) è, secondo, lo storico e architetto Bernard Rudofsky quell’insieme di forme architettoniche-edilizie che appartengono alla tradizione più antica dell’uomo:
Dalle tende dei popoli nomadi alle tombe celtiche, fino ai portici come dispositivo urbano e che non sono attribuibili a nessun progettista o autore in particolare.
Si potrebbe per ipotesi anche dire che questa architettura è definibile come “anonima”, “rurale”, “nativa”, “indigena”, “vernacolare”, “tradizionale”, ma in realtà, la definizione si adatta anche a castelli, strutture militari, fortezze e torri.
In ogni caso, l’individuazione dei caratteri comuni di un’architettura mediterranea rimane ugualmente problematica, sfuggente e difficile da ricondurre a stilemi specifici.
UN FATTORE COMUNE: IL MEDITERRANEO
L’architettura vernacolare attribuisce anche al Mar Mediterraneo il ruolo di elemento unificante e polo generatore di una comunità culturale unica, con caratteri architettonici originali, comuni e condivisi.
Il mare darebbe un’identità europea ai nostri borghi (Calabresi oppure no), partendo sicuramente dalla tradizione greco-ellenistico-romana, sebbene poi l’architettura dell’Italia meridionale e insulare sia, comunque, riconoscibile dalla sua semplicità,
come molto sottolineato persino da grandi interpreti dell’architettura classicista e romantica europea, da J. J. Winckelmann, K. F. Schinkel a J. Ruskin, e, poi, dei primi decenni del Novecento, da A. Gaudí, J. M. Olbrich, J. Hoffmann, A. Loos fino a Le Corbusier.
Questi ‘architetti-viaggiatori hanno dato ampia attenzione al clima, ai materiali, alla luce e ai colori del paesaggio mediterraneo e rurale, in particolare italiano,
non solo, per ammirare l’architettura di borgo o vernacolare (di villaggio) e la sua semplicità di forme di vita nei suoi abitanti, ma anche per emularla e trarne innovazione.
L’architetto viennese Bernard Rudofsky, in particolare, ha identificato i primari caratteri dell’architettura anonima di borgo nella sua
- elegante essenzialità
- riduzione linguistica,
- apparente naturalezza
- razionalismo del rispetto dell’orografia, della luce, dell’atmosfera e dei colori del paesaggio mediterraneo entro cui si articola.
CONFRONTO TRA BORGO E CITTA’
L’Architettura mediterranea ci circonda da ogni lato, sopra e sotto, in un borgo:
La strada, il cielo, il muro, il lampione, la facciata, la chiesa, la torre sullo sfondo, il castello, la campagna.
C’è spazio per l’originalità, mentre nella città la cosiddetta Edilizia Razionale, corrente, di stampo moderno, significa standardizzazione, ripetizione, ridondanza, talvolta inutile o fuori luogo.
Invece, l’Architettura Mediterranea è totale, ingloba natura e spazio artificiale.
Ma sempre, in ogni sua parte, rimane essenziale: nulla è superfluo, ma tutto risponde ad una necessità vitale e quotidiana, sia per l’uomo che ci vive, che per la natura (la quale è sacrificata solo quanto basta).
Sicuramente l’architettura vernacolare ha i propri archetipi nella tradizione romana della villa e poi in quella medievale del castello feudale con il suo contorno di casupole di borghigiani.
Ma poi supera questi archetipi, in modo assai particolare e speciale, perché, a parte l’utilizzo indispensabile di tutte le innovazioni nei materiali edili moderni,
si lega sempre alla speciale natura e all’ambiente del posto, che è molto più difficilmente classificabile, – dato che la natura del paesaggio, della campagna, dei monti o dei litorali è sempre cangiante.
Per legarsi al suo contesto si articola in modo complesso.
Si adatta, si adegua, in modo flessuoso.
Si diversifica a seconda delle esigenze umane e naturali (simbiosi). È malleabile per natura.
In tal modo, i caratteri morfologici e tipologici dell’Architettura mediterranea costituiscono, per paradosso, sia una grande varietà di invarianti architettonici, sia, però, un insieme di costruzioni “concrete” strettamente dipendenti, come detto, dal contesto.
In conclusione, la maggior parte delle Architetture mediterranee antiche sembrano protesi umane, – quanto alla relazione con l’uomo…
…Quanto alla relazione con la natura, invece, l’Architettura mediterranea preferisce le asperità, i picchi, i versanti, ovvero le conformazioni diffuse, concentrate, armonizzandosi, in modo quasi scontato, con una Natura da cui prende il meglio, rubando il meno possibile (sostenibilità mediterranea).
Magari, poi, restituendo il maltolto, in termini, persino migliorati di particolare Paesaggio Umano.
I COLORI DEL BORGO
L’Architettura mediterranea predilige il bianco. Per un fatto naturale. Per mettere in risalto la luce, l’eleganza e la semplicità. Per rispondere tono su tono al sole vivido.
Non sono disdegnati gli altri colori. Vivaci. Anche questi per rispondere al rimbalzo del sole. Come segno di una varietà di vita senza limiti. Molto di più di quella cittadina di oggi, che, falsamente, sembra offrire di più.
Un eccesso d’offerta di servizi, quella cittadina, che dona invece un’insolita solitudine (come nelle periferie).
Il borgo sembra, all’opposto, persino precario, come se la provvisorietà fosse una sua regola nomade (ma solo apparentemente, dato che la città con i suoi servizi è sempre facilmente raggiungibile dai moderni mezzi di trasporto).
Ed invece è proprio un’architettura sicura, stabile, che più di altre si radica al territorio Mediterraneo, impervio ma familiare. Anch’esso apparentemente provvisorio. E invece duro, irremovibile.
La visione da lontano degli abitati mediterranei lenti e solitari è proprio quella della compattezza/continuità massima del costruito, che si differenzia nettamente dal frazionamento dei volumi moderni e razionalizzanti della città, frutto di uno zoning distruttivo e, questo invece, veramente “solitario”.