La Calabria è una delle prime colonie degli Achei, il popolo che precede la grecità classica e ne fonda i costumi e forse anche il genio.
È quindi naturale interrogarsi sulla microstoria della cucina Achea come grimaldello culturale per richiamare l’attenzione sullo scrigno, ancora chiuso, dei costumi e della cultura più elevata che questo antico popolo di naviganti e guerrieri ha lasciato ai Calabresi di oggi. Infatti, niente è più vicino allo spirito di un popolo che il quotidiano, che ne intesse la persona, in carne e ossa, e di seguito tutti gli aspetti sociali. Diventa interessante riflettere sul retaggio di cibi, bevande e abitudini di consumo e preparazione degli stessi che possono essere rimasti, per poi risalire attraverso essi, anche solo in parte, allo spirito che li accompagnava, che rende oggi gli Achei ancora simili a noi e che si dispiegava, infine, pienamente negli atti più alti della loro poesia e letteratura (Iliade ed Odissea) o della scienza e delle arti tecniche (dagli antichi medici Achei fino a Ippocrate).
TRADIZIONE ACHEA IN CUCINA
Dai testi ritrovati a Micene è stato possibile ricostruire che cosa mangiassero i Greci già nel II millennio a.C., in piena epoca Achea (altre fonti sono le commedie di Aristofane e alcune citazioni contenute nei Deipnosofisti dell’erudito Ateneo di Naucrati).
Era una cucina caratterizzata da frugalità, da un’economia basata sull’agricoltura povera e naturalmente dalla “triade mediterranea”: frumento, olio d’oliva e vino.
Con l’orzo e con il grano si facevano focacce; c’erano ceci, fave; tra i frutti predominavano i fichi, che erano assai diffusi; ma le pitture parietali dei vasi ci mostrano anche pesche, mele, pere e melagrane.
In ambito religioso, tra i cibi offerti agli Dei figuravano tributi (o offerte sacre dei vincitori di una battaglia) come carne, ricavata in genere da agnelli, capre e suini, ma anche miele e latte, olio e vino. In ambito quotidiano, i Greci antichi prestavano crescente attenzione all’alimentazione e quindi alla cucina, dato che diverse testimonianze di filosofi e medici dell’epoca vedono, fra tutti Ippocrate, sostenere la relazione fortissima tra i diversi tipi di cibo e lo stato di salute o malattia dell’uomo.
In ambito militare, nell’Iliade gli eroi sono tratteggiati come mangiatori di carne arrostita (capretti, agnelli e manzo) insieme a pagnotte di pane e bevute di vino rosso, molto denso quest’ultimo e appena diluito con acqua e miele.
Di formaggio di capra, invece, di rado parlano sia l’Iliade che l’Odissea. Elemento importante era nell’Iliade ovunque l’olio, mentre erano quasi assenti il pesce, la frutta e le verdure.
Nell’Odissea al contrario l’alimentazione appare più varia, arricchita com’è dalla coltivazione del grano e dell’orzo, unita agli ortaggi, alla consumazione di verdure e di insalate.
È solo dal V sec. a.C., tuttavia, che il pesce diventa il piatto principale dell’alimentazione greca, mentre rimane appunto ben raro presso gli Achei.
COTTURA E CONSUMO DEL CIBO
Il tipico metodo di cottura acheo è la brace, anche se in seguito compaiono altri modi per cucinare le pietanze. Infatti, gli strumenti da cucina che si useranno in seguito sono vari e simili a quelli che si utilizzano anche oggi, mentre in epoca achea per zuppe e torte ci si serviva di tortiere di bronzo,
per le fritture di pentole simili a padelle e per le bevute dei simposi del rhyton (un boccale grande e imponente).
Il pane si cuoceva ancora con farine di farro e segale. Per i dolci vi era l’uso di preparare focacce impastate con fichi, miele, latte; a pranzo si mangiavano pappe di cereali, mescolate con legumi, formaggio, olio e verdure, così abbondanti e variati da far meritare in una commedia ai Greci antichi l’appellativo di “mangiatori di foglie”.
È invece singolare che l’olivo e la vite, spesso associati agli Achei e ai Greci in generale come loro palma e segno di distinzione non fossero affatto originari della Grecia. Al contrario, queste cultivar giunsero agli Achei dai Fenici e dai commercianti della Siria e della Palestina, a cui erano noti da un’antichità più remota.
L’olivo ebbe da allora una grande diffusione presso questi remoti antenati, anche in Calabria, e fu protetto da apposite leggi.
Era infatti un albero sacro, con i cui esemplari si rimboschivano i terreni brulli. Era un obbligo assoluto, anzi, sostituire gli alberi abbattuti con nuove piantagioni. D’altro lato, del vino si parla spesso nei poemi omerici e non mancava mai nelle offerte votive, nei banchetti, nelle feste in onore di Dioniso. Divenne in poco tempo uno dei prodotti maggiormente esportati: era trasportato via mare in grandi anfore, o via terra in otri sul dorso di muli o asini.
Quanto al modo di consumare i cibi: Si mangiava con le mani, le posate erano sconosciute sulla tavola, ma di adoperavano solo kylikes (coppe svasate), con le quali si bevevo il vino.
Inoltre, per mescolare il vino (mai consumato puro, ma sempre diluito o con acqua o con miele) contenuto nei crateri si utilizzava il ciato, un mestolo che i coppieri recavano appeso al mignolo e che impiegavano anche per misurare la diluizione del vino.
A casa i Greci consumavano tre o quattro pasti al giorno. La colazione, ἀκρατισμός (akratismos), consisteva in pane d’orzo immerso nel vino, accompagnato da fichi o olive, oppure si mangiavano dolci chiamati τηγανίτης (tēganitēs), cotti in una sorta di padella τάγηνον (tagēnon, forse antesignano del quotidiano “tegamino”).
Altro tipo di dolce a colazione era lo σταιτίτης (staititēs) fatto di farina o di pasta di farro. Ateneo di Naucrati parla di staititas ricoperti di miele, sesamo e formaggio.
A pranzo si mangiava velocemente (in greco antico: ἄριστον, ariston), intorno a mezzogiorno o nel primo pomeriggio. La cena (in greco antico: δεῖπνον, deipnon) era il pasto principale dell’intera giornata e veniva generalmente consumata al tramonto.
Quanto di più simile alle nostre abitudini attuali!
I Greci normalmente mangiavano stando seduti sulle sedie (klismos), mentre i letti erano utilizzati solo per i banchetti.
Delle pagnotte di pane piatto venivano usate come piatti, ma le ciotole di terracotta erano più comuni. I piatti divennero più raffinati nel tempo e nel periodo successivo erano talvolta realizzati con metalli preziosi o in vetro. L’uso della forchetta era sconosciuto, solo i coltelli (in comune) venivano usati per tagliare la carne, e i cucchiai per le zuppe e il brodo.
Talvolta venivano usati pezzi di pane (in greco antico: ἀπομαγδαλία, apomagdalia) al posto del cucchiaio o come tovagliolo, per pulirsi le dita.
FRUTTA E VERDURA
I cereali degli Achei, conditi con l’opson (in greco antico ὄψον), una “salsa o condimento”, erano accompagnati a cavolo, cipolla, lenticchie, cicerchia palustre, ceci, fave, piselli, cicerchia, ecc.
Questa verdura era preparata in forma di zuppa, bollita o sotto forma di purè (ἔτνος, etnos), e condita con olio d’oliva, aceto, erbe aromatiche o il c.d. gáron in greco antico γάρον, una salsa a base di pesce simile al latino “garum”.
Gli abitanti più poveri dovevano accontentarsi di legumi secchi. La zuppa di lenticchie (φακῆ, phakē) era il piatto tipico del lavoratore. Formaggio, aglio e cipolla erano il cibo tradizionale dei soldati.
La frutta, fresca o secca, e le noci venivano consumate a fine pasto. Particolarmente comuni erano i fichi, l’uva e il melograno. I fichi secchi venivano mangiati come antipasto o assieme al vino. In quest’ultimo caso, venivano spesso accompagnati da castagne, ceci e noci di faggio abbrustolite.
Il VINO
Il vino veniva generalmente allungato con l’acqua. Il consumo di akraton o “vino non miscelato”, anche se noto in quanto praticato, era raro.
Il partecipante al banchetto si avvicinava ad un krater per riempire di vino la sua kylix (già menzionato più su, e consistente in una sorta di coppa o bacile piuttosto piccolo), il vino veniva anche usato per scopi medicinali, si dice che il vino acheo potesse indurre l’aborto.
Un oggetto piuttosto abituale e simile al nostro moderno bicchiere era lo skyphos, realizzato in legno, terracotta o metallo.
E’ anche menzionato nelle fonti il kothon, quello che divenne il tipico calice spartano che aveva il vantaggio militare di nascondere il colore dell’acqua alla vista intrappolando il fango nel bordo.
Per la libagione più comune veniva usato, come detto la kylix, che nei banchetti consentiva di prendere il vino contenuto in un kantharos (un recipiente profondo con maniglie), o il rhyton, un imponente corno potorio, spesso plasmato nella forma di una testa umana o di animale.
LA BEVANDA DEL KYKEON
I Greci antichi bevevano anche il c.d. kykeon (κυκεών, dal verbo kykaō, κυκάω, “scuotere, miscelare”), che era sia una bevanda che un pasto. Era una pappa d’orzo, a cui venivano aggiunte acqua e erbe aromatiche. Nell’Iliade, la bevanda conteneva anche formaggio di capra grattugiato, mentre nell’Odissea, Circe aggiunge, per Ulisse, ad essa del miele e una pozione magica.
Negli Inni omerici a Demetra, la dea rifiuta del vino rosso ma accetta un kykeon fatto con acqua, farina e menta.
Utilizzata come bevanda rituale nei Misteri Eleusini, il kykeon era anche una bevanda molto popolare, soprattutto nelle campagne: Teofrasto, nei suoi personaggi, descrive un contadino rozzo che dopo aver bevuto tanto kykeon disturba i componenti dell’Assemblea con il suo cattivo alito.
Era anche considerato un buon digestivo ed era raccomandato a chi avesse mangiato troppa frutta secca.
IL PANE ACHEO
I cereali, la vera base della dieta degli Achei, erano il frumento (σῖτος, sitos) e l’orzo. Per ottenere il pane si realizzava una pappa di chicchi per immersione, la si macinava e riduceva in farina (in greco antico: ἀλείατα, aleiata), poi si impastava il tutto in pani (ἄρτος, artos) o focacce, semplici o miscelate a formaggio o miele. L’impasto lievitava con il c.d. νίτρον, nitron, cioè un lievito di vino.
Il pane era cotto in un forno di argilla (ἰπνός, ipnos) oppure con carboni accesi sul pavimento.
Il pane d’orzo era, invece, più difficile da panificare, ancora oggi ne rimangono tracce in Calabria, un pane nero ed integrale, apparentemente rozzo, ma nutriente e pesante (perché ricco d’acqua). Anche a questo pane nero, oggi dopo 3000 anni ancora, si aggiunge formaggio o miele. In alternativa l’orzo era arrostito prima di essere macinato, producendo una farina grossolana (ἄλφιτα, alphita) che veniva utilizzata per fare il maza(μᾶζα), il piatto greco di base.
Il maza poteva essere cotto o crudo, come un brodo, o trasformato in gnocchi o focacce.
TRACCE ACHEE IN CALABRIA: PANE NERO
In Aspromonte (zona montuosa della Calabria, all’estremo sud della regione), “u granu jermanu“, o “jermano”, è il nome dialettale della segale, coltivata fin dall’antichità più remota degli Achei.
Con questo cereale, lavorato come l’orzo per la panificazione si possono apprezzare le tracce culturali del menzionato passaggio acheo in Calabria. Anzi, con l’utilizzo di questo antico grano calabrese, – dalle tante proprietà benefiche, ricco di vitamine, sali minerali e fibre, – i calabresi producono un notissimo pane nero, dal sapore molto rustico, poco acido e dal profumo intenso.
Il grano Iermano era largamente utilizzato in tutto il Sud fino agli anni ’50. Con questo nome (Iermano o nella variante Jurmano) si identificava quella che in italiano si chiamava segale. Re-introdotto dai tedeschi durante la prima guerra mondiale per produrre alcol e pane, il grano Jurmano fu ben accolto in Calabria. Ed oggi dall’Aspromonte all’altopiano della Sila, vi sono ancora alcuni agricoltori che da oltre 50 anni portano avanti questa cultivar senza soluzione di continuità dal tempo degli stessi Achei!
Intanto, essendo la Calabria una terra piuttosto montuosa e quindi soggetta ad inverni molto rigidi, questa cultivar, di probabile remota origine achea, ha saputo re-adattarsi bene ai nostri climi invernali. Inoltre, non va dimenticato che, essendo un cereale molto resiliente, il grano jermanu cresce persino nel circolo polare artico e arriva fino a 4.000 metri di altitudine.
Ne viene fuori un pane nero molto gustoso, caratterizzato da una remota rusticità. Poi, a parte la sua particolarità storica ed il suo misterioso passato, è un cibo che presenta notevoli benefici salutari. Quelli del pane Jermanu sono, principalmente, secondo diverse ricerche scientifiche la capacità di fluidificare il sangue e quella di prevenire l’arteriosclerosi.
La farina di segale, chiamata in dialetto farina iermano o farina iurmano, spesso mescolata a farina di grano duro, è quindi l’ingrediente principale di un prodotto antichissimo, il suddetto pane nero. Un pane la cui produzione è molto laboriosa, lievitato con lievito madre, impastato alla sera e ricoperto fino all’indomani con coperte di lana.
Il giorno dopo, la preparazione inizia con forza e fatica, l’impasto di questo pane si rivela infatti denso e viscoso. A questo punto viene tagliato e cotto per un tempo lunghissimo, circa due ore e dopo la cottura si conserva per un tempo altrettanto lungo.