MICROSTORIA DELLA GASTRONOMIA DEL POPOLO VISIGOTO
I Goti, un popolo scandinavo e barbaro, ha lasciato tracce ben chiare nell’enogastronomia calabrese. Ciò accade, specialmente, dopo il saccheggio di Roma da parte del re Alarico, intorno al 400 D.C., quando si installò un vero e proprio regno in Italia, che raggiunse anche l’estrema parte sud della penisola. Le Principali tecniche di produzione e cucina del cibo del popolo visigoto sono state ereditate proprio in quegli anni dalla Calabria.
La storia dei Goti inizia nell’epoca in cui i romani conoscevano alcuni popoli barbari, da tempo stanziati nell’antica Europa centrale e che, fin dai primi secoli dell’impero, lo Stato di Roma si curò di legare a sé mediante trattati, dando loro la possibilità di vivere entro i limiti dell’impero, purchè servissero come sentinelle, mercenari e corpi di scorta.
I Romani preferivano vedere tali popoli e, tra essi, i Goti come un popolo incivilito, piuttosto che come un aggregato umano selvaggio e vagabondo; la maggior parte di essi era ancora dedita solo alla caccia e all’allevamento del bestiame, quando venne in contatto con la luminosa civiltà romana.
Una delle principali tribù barbariche nominate, appunto, dai romani sin dai primi secoli dell’era cristiana, erano i Visigoti, che provenivano dal Nord-Europa e vennero a vivere ed espandersi in tutta la provincia dell’Hispania. Erano noti come cacciatori e raccoglitori, uomini coraggiosi e uomini di guerra, che ritenevano vile dover acquisire lavorando ciò che si poteva facilmente ottenere con la violenza.
Abituati solo al pascolo, fecero poco per il loro sostentamento, per lunghi secoli, cosa che li costrinse ad inserire la pratica dell’agricoltura, solo dopo i primi contatti con i Romani, ma senza mai stabilirsi definitivamente entro limes (confini) ben definiti, poiché spesso abbandonavano i campi alla ricerca di nuove terre. Coltivando, quindi, principalmente piccoli appezzamenti ad avena, un cereale utilizzato sia per l’alimentazione umana che animale.
Rimasero nell’Europa centrale, con luogo d’origine l’attuale Danimarca, per molti secoli e solo in seguito, verso il 350 D.C., dilagarono in Italia e in Grecia, sotto la spinta degli Unni, che conquistavano con la forza le loro terre. Ma anche quando invasero i limes romani questi popoli, arrivati nei territori dell’Impero, finirono per adottare i nuovi costumi culturali che la tradizione locale imponeva loro, il che implicava che migliorassero, non solo, i loro costumi, ma anche il modo di coltivare e lavorare ciò che avrebbero consumato, il che li aiutò a migliorare non poco la loro dieta quotidiana.
Pertanto, è facile comprendere perché i cibi tipici del popolo visigoto fossero gli stessi dell’epoca romana nel IV e V secolo D.C., cioè i cereali maggiormente utilizzati come il grano e altre varietà di graminacee, che venivano lavorate senza delicatezza e servivano per preparare, principalmente, un porridge di farina.
I Goti cucinavano anche diversi tipi di pane, duro e poco delicato, con cui nutrivano i servi, e la sua preparazione era a base di farina e lievito integrali, che finivano per diventare un gustoso pane nero (di questo rimane ampia traccia in molte località della Calabria, da ritenersi un chiaro lascito culturale dei Goti).
Allo stesso modo i Goti derivavano dai Romani varie ricette di pasticceria, tutte a base di miele, dato che questo era l’unico dolcificante allora conosciuto (lo zucchero verrà introdotto solo in epoca moderna, dopo il 1492).
Per il resto, per l’influenza delle loro attività quotidiane di caccia e allevamento, i Goti in Calabria e in Spagna preferivano consumare la carne, in tutte le sue varietà. In particolare, il maiale era la specie maggiormente amata dai Goti; e di questa predilezione si vede ancora traccia nell’eccellente salumeria calabrese, ulteriormente migliorata dalla dominazione moderna degli Spagnoli Aragonesi, i quali tra l’altro forse ritrovarono il loro passato gotico in Calabria. I Goti apprezzavano naturalmente anche carne di pecora e bovino.
E’, infine, da menzionare l’usanza adottata dai Visigoti e dagli ispano-romani di coltivare ortaggi, i quali furono introdotti nella dieta calabrese in tutta la loro diversità, insieme ad alcuni frutti. Si potrebbe tranquillamente affermare che furono proprio i Goti a immettere in Calabria la coltivazione di ortaggi come carciofi e spinaci, e anche del luppolo, che contribuì moltissimo alla produzione locale della birra. I Goti erano, peraltro, pionieri, con la specifica coltivazione di mele e la loro successiva fermentazione, nella produzione di sidro.
RICETTARIO DI CUCINA VISIGOTA
Nella Spagna visigota, San Fruttuoso, nel capitolo V della “Regula monachorum“, parla, quanto alle tipiche ricette Gote, di carne, pesce e verdure, ma, in realtà, quel poco che sappiamo della cucina di questi tempi nebulosi lo dobbiamo a quanto riportato nelle “Etimologie” di San Isidoro.
Come è noto, le “Etimologie” rappresentano il compendio della conoscenza di un intero periodo, quello del mondo cristiano che appartenne all’Alto Medioevo. Questo libro, scritto nel VII secolo, contiene menzione di molti temi pratici, di leggi, di medicina, ma anche di argomenti finemente teorici come angelologia, dialettica, uffici ecclesiastici, retorica, matematica. Tuttavia, tra le curiosità trattate da San Isidoro, è molto importante il XX ed ultimo libro delle “Etimologie”, che descrive in dettaglio la cucina gotica (persino gli utensili da cucina, come calderoni, pentole, padelle, ecc.). Questa attenzione ai Goti è rivolta da San Isidoro anche considerando che presso i Goti era stata completata l’opera di diffusione del cristianesimo, già in Danimarca, da parte di re Aroldo (considerato santo dalla Chiesa cattolica), cosa attestata da una famosa “pietra runica” (scritta in caratteri della lingua runica o norrena dei Goti e comune agli altri popoli danesi), la Grande pietra di Jelling (dove si legge “Harald re fece fare questa stele per Gorm padre suo e per Thyra madre sua, questo Harald che conquistò la Danimarca intera e la Norvegia ed fece i danesi cristiani”).
San Isidoro parla della Spagna visigota, ma nel farlo, in pratica, menziona in dettaglio il retaggio gotico nell’enogastronomia anche degli altri regni gotici (come la Calabria). L’Autore discute, non solo, della sala da pranzo e degli armadi, delle credenze, delle dispense, dei tipi di vasellame, piatti e bicchieri (sia per l’acqua che per il vino), – ma, anche e soprattutto, dei singoli cibi gotici e ci riporta la tradizione, per esempio, del gustosissimo pane nero dei Goti e del loro spezzatino di carne, nelle sue quattro modalità di base: arrosto, cotto, fritto o in salsa.
Le verdure che venivano maggiormente coltivate negli orti gotici erano principalmente lattughe, cicorie, porri, bietole, zucche, asparagi, carciofi e spinaci. Erano noti anche frutti come datteri, melograni, pesche, albicocche, pere, ciliegie e limoni, e tra le noci si consumavano mandorle, nocciole, castagne e noci.
Con i cereali si facevano diversi tipi di pane, alcuni grossolani, di qualità molto bassa, che venivano mangiati dai servi, cíbarius, e altri, sia con lievito, fermentacius, sia senza, azymus. Si preparavano anche pani integrali (Il famoso pane nero gotico, che in Calabria è preparato ancora in varie località).
I dolci, che erano principalmente a base di una specie di torta, erano sempre fatti con il miele. Il miele, infatti, era l’unico dolcificante utilizzato e conosciuto nelle preparazioni di pasticceria visigota (non è escluso che la famosa pitta impigliata, dolce arrotolato a spirale ripieno di uva passa sultanina, miele e noci, consumato specialmente a Natale in Calabria, sia un chiaro retaggio gotico).
La base del pasto era, invece, una specie di polenta che, se mescolata a legumi, veniva chiamata pulte, se mescolata a carne secca, pulmentum, e se mescolata a trito di pesce, carne e verdure, minuta.
L’allevamento del bestiame era una delle loro attività principali, poiché da esso si ricavava la carne per il consumo quotidiano, con il maiale che era considerata la carne più pregiata e, dopo di essa, pecore e mucche.
Il condimento più apprezzato era il peperone portato dall’India. Si conosceva anche la cannella e lo zafferano, che erano raccolti freschi e consumati in giornata.
I Visigoti erano grandi bevitori di vino e ne consumavano diversi tipi. Dall’uva aminea si otteneva il vino bianco e dall’apiana il vino dolce. Il vino puro era chiamato merum, quando era fresco di torchio mostum, quando era rosso roseum e quando era bianco amineum. Oltre al vino si consumava il sidro (derivante dalla fermentazione del succo di mela), la sicera e la birra, la c.d. cervisia (oggi in spagnolo anche detta cerveza).
Insomma, la gastronomia visigota era rozza, semplice e poco elaborata, basata sulla tostatura o cottura di qualsiasi prodotto. Ma tutto si spiega con il fortissimo legame con la più antica cucina romana. Infatti, dopo la disgregazione dell’Impero Romano, arrivarono le invasioni come quella dei Goti e con esse la comparsa di diverse cucine in Europa, del tutto derivate da quelle esistenti o in parte sostitutive. Non è quindi esagerato sostenere che i cibi consumati nella Spagna visigota e in Calabria e di cui parla San Isidoro, fossero una sorta di riepilogo storico e tradizionale degli stessi dell’epoca romana, dei medesimi cereali e ortaggi che costituivano le basi della dieta latina.
In particolare, i Visigoti impararono dai giardinieri ispano-romani (e trasmisero alle popolazioni calabresi) la coltivazione di vari legumi, come fave, lenticchie, piselli, ceci e lupini.
MACRO-STORIA DEI GOTI A REGGIO CALABRIA
Dopo la scorreria dei Visigoti del 410 D.C. e la morte di Alarico nei pressi di Cosenza, Reggio Calabria riprese la sua esistenza tranquilla ed operosa. Seguì, infatti, un sessantennio relativamente pacifico di presenza dei Goti a Reggio, che lasciò alcune tracce, in effetti non imponenti come a Ravenna, dove le opere di Teodorico sono ancora oggi visibili.
Tuttavia, nel 534 l’imperatore bizantino Giustiniano, in guerra contro i Vandali d’Africa, chiese al re dei Goti Teodato il permesso di utilizzare la Sicilia come base di operazioni. Il re goto, che era stato costretto, in seguito ad un accordo, a cedere Lilibeo (l’odierna Marsala) ai Vandali, accettò di buon grado il trattato e la relativa la richiesta dei bizantini Romei.
Il generale bizantino Belisario fu però protagonista di un voltafaccia con i Goti, in quanto, dopo aver debellato i Vandali in Sicilia, ricevette l’ordine dall’imperatore di cacciare anche i Goti dalla Calabria, oltre che i Vandali dalla Sicilia. In quel momento tutte le città della Calabria in mano ai Goti,essendo sprovviste di eserciti di manovra, decisero di venire a patti con il generale romeo. Anche a Reggio, che era stata affidata ad un genero del re goto Teodato, di nome Evermund, il presidio locale accettò di ricevere un pagamento in denaro dai Bizantini e di lasciare la città, porta d’Italia, a Belisario.
Terminò così l’epoca dei Goti in Calabria ed anche a Reggio si rinnovarono verso i Bizantini le manifestazioni di giubilo della popolazione, che veniva liberata dalla dominazione dei barbari.
Fu poi in un certo senso merito della trascuratezza militare dei Goti, se i Bizantini notando l’assenza di mura nella città di Reggio, decisero di trasformare la città in un kastron fortificato. Avvenne allora uno dei cambiamenti storici che subì l’urbanistica della città. Il tracciato delle mura non poteva più essere quello sulle colline c.d. del Salvatore, perché era indispensabile proteggere il porto, né quello ampio della città ellenistica e romana, giacché la popolazione abitante era notevolmente calata, a tutto beneficio dei choria (villaggi) circostanti. Le mura vennero ampliate enormemente e Reggio ebbe l’occasione di ingrandirsi demograficamente e architettonicamente, assumendo i connotati della più importante città del territorio Calabrese fino ad oggi.