L’11 ottobre si terrà a Davoli MARINA presso il Centro Polifunzionale del Comune, con l’organizzazione della nostra APS, un festival periodico della cultura, prima edizione, dal titolo:
DEF, DAVOLI EDUCATIONAL FESTIVAL
La prima edizione del DEF avrà la forma del convegno di studio con esperti del settore della cultura mediale. Nelle prossime edizioni il DEF intende sviluppare percorsi di concreto sostegno a chi è chiamato a sostenere il cammino di crescita delle nuove generazioni.
In questa direzione futura, il DEF – Davoli Educational Festival intende offrire al mondo educante uno spazio-tempo di confronto, incontro e condivisione di conoscenze, esperienze e buone prassi, finalizzate alla generazione di un comune back-ground per azioni concrete nelle diverse realtà formative, dalla famiglia, alla scuola, alle associazioni, alle istituzioni politiche e sociali, da condividere a livello nazionale.
Una delle caratteristiche sociali dell’ultimo decennio è la crescente crisi di identità del mondo educante, chiamato a confrontarsi e talvolta a scontrarsi con forme sempre più raffinate di dominazione digitale, capitanata da un manipolo di soggetti globali.
Anche nell’esperienza quotidiana possiamo trovare segni di questa crisi, quando, per esempio, la scuola addebita alla famiglia la ‘mal-educazione’ delle giovani generazioni, la famiglia di rimando la addebita alla scuola e magari alle Istituzioni, in un rimbalzo di responsabilità che rende difficile trovare un punto fermo e che oscura il problematico contesto mediale entro il quale tutti i soggetti che compongono il mondo educante si trovano ad operare. Qual è dunque questo contesto? La progressiva riduzione del peso specifico delle relazioni frontali a vantaggio delle relazioni mediate da hardware e software digitali, ha scontornato, o meglio fluidificato, la struttura identitaria della persona e poi delle comunità; mentre la persona si realizza e si educa nella relazione libera, ampia ed in-mediata “io-tu”, nella crescente diffusione di relazione mediate ci si trova ad agire in spazi, tempi e modi ristretti, generati ad immagine, somiglianza e utilità di pochi creatori umani; il tutto peraltro sta mostrando gravi limiti nella costruzione di comunità autenticamente umane, in equilibrio stabile tra diritti e doveri, libertà personali e restrizioni normative, desideri e possibilità, realizzazione di sé e rispetto degli altri, aspirazione alla crescita sociale e liceità dei metodi per conseguirla, empatia e violenza.
Nel mondo educante le risposte al ‘mediale’ sono molteplici, ma polarizzate verso due estremi: da un lato uno scetticismo, più di maniera che critico (“io di queste cose non ne so nulla”), dall’altro l’accettazione della novità come buona-in-sé (“e io che ci posso fare? Così è…); entrambe queste risposte portano ad un problematico astensionismo pedagogico.
I contenuti del DEF saranno, infine, sintetizzati in un documento, graficamente e facilmente comunicabile, che sarà diffuso nelle diverse realtà educanti presenti sul Territorio Nazionale: scuole, associazioni, Istituzioni, parrocchie ecc. e che funge anche da promozione dell’iniziativa. Il DEF si distingue quindi dai diversi Festival e Forum dell’educazione perché non solo presenta una pluralità di interventi come gli altri, ma per questa sintesi finalizzata a generare alcuni punti fermi da offrire alla riflessione, educativa, sociale ma anche politica per future decisioni, anche normative.
CONTENUTI DELLA PRIMA EDIZIONE
Essere comunità educante oggi significa anzitutto essere presenti nella vita mediale fin dall’infanzia, che, se non si conosce, rende difficile, se non quasi impossibile educare. Essere presenti, sapere cosa vedono, sentono, amano non è un’inutile curiosità, ma un bene necessario per la loro crescita equilibrata,che non significa solo bloccarli lontano dai mali più evidenti (adescamenti, violenze, bullismo ecc.), ma renderli testimoni del bene tra di loro, superando la sindrome della pecora nera attraverso alleanze educative tra genitori, insegnanti, istituzioni, figli e coetanei. In sostanza, i figli hanno bisogno di sentire il mondo educante unito ed alleato nel loro cammino.
Con questa prima edizione del DEF si intendono offrire, segnatamente a chi ha funzioni educative, alcuni contributi di esperti al fine di: (i) favorire la diffusione, anche attraverso una ricognizione di natura antropologica, della cultura del rispetto, della dignità e della parità di tutti i soggetti sociali, segnatamente quelli in posizione di disagio, socialmente o culturalmente inteso; (ii) offrire un’attenta analisi delle spinte culturali sotterranee nei confronti di bambini, preadolescenti ed adolescenti, al fine di conoscerle, comprenderle, rimuoverle o limitarne l’azione, ampliando così realmente l’area della libertà di scelta e l’empowerment; (iii) leggere i fenomeni nel contesto della rivoluzione mediale, giunta nella fase di maturità degli smartphone-tablet (S&T), che «non sono scatole vuote, ma barattoli pieni di contenuti filtrati da un ristretto numero di soggetti globali, i quali finiscono per avere una significativa ed ineludibile influenza massificante sulla percezione di sé, la formazione dell’identità, le relazioni ed i rapporti di collaborazione o di forza»
L’ORGANIZZATORE: APS COMUNITA’ BENEDICT
La nostra APS si occupa di Attività culturali ed artistiche; Attività ricreative e di socializzazione; Promozione dello sviluppo economico e sociale della collettività; Tutela e sviluppo del patrimonio abitativo; Promozione del volontariato. Inoltre, è dedita, nel più generale campo di attività di interesse generale ai sensi dell’art. 5 comma 1 D.lgs. 117/2017 all’organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso; all’organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale.
TEMI FUTURI E IN PROSPETTIVA:
Il festival culturale dell’educazione è periodico (annuale) a DAVOLI e parlerà, attraverso le attività programmate, di contro educazione ai social.
La contro-educazione si accompagnerà ad una specifica promozione dell’educazione ad un nuovo quadrivio di materie fondamentali per un’educazione alla profondità culturale, al di fuori del contenitore limitante dei social network:
Il nostro progetto di promozione sociale come APS (Comunità Benedict) ha come passaggio ineludibile il recupero della memoria storica e civile della cultura mediterranea in Calabria. Cultura che la Calabria esprime in modo ormai tacito e quasi archeologicamente dimenticato, ma che può rivivere promuovendo il turismo verso i luoghi della memoria dell’universo mediterraneo, rammentato dalle sue stesse coste. Quelle che circa 4.000 anni fa erano già chiamate “Italia” (terra del mitico Re Italo) e poi offrirono riparo agli Achei, ai Fenici, alla Magna Grecia, ai Romani.
Lo storico Fernand Braudel nella sua fondamentale opera Il Mediterraneo (Lo Spazio, La Storia, Gli Uomini, Le Tradizioni)” si è interrogato così sul profondo senso di questa Cultura: “Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre.” Altrove, così l’Autore risponde alla domanda: “Il Mediterraneo è un insieme di vie marittime e terrestri, collegate tra loro, e quindi città che, dalle più modeste alle medie, alle maggiori si tengono tutte per mano. Strade e ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione”.
La nostra iniziativa di promozione sociale intende mostrare, perciò, come la navigazione delle civiltà e delle culture da e verso la Calabria e le sue coste sia proprio il profondo senso dell’attrazione turistica verso il paese.
Supportata da queste validissime fonti storiche, dedicheremo il presente articolo ai Fari della Calabria. Proprio queste strutture esemplificano la bellezza del viaggio per mare attraverso il Mediterraneo e il suo profondo senso di sovrapposizione di civiltà, e racchiudono tutto il senso dell’offerta turistica calabrese.
OMBRE DEL MITO MEDITERRANEO: I FARI CALABRESI
Proprio i fari contengono misteriosamente condensata nella loro muta presenza il ricordo di questa grande eredità mediterranea, l’universo umano delle diverse civiltà che continuamente sotto l’occhio vigile delle loro luci notturne sono approdate in rade e porti sicuri…portando in dono il mondo della cultura, dei commerci, del sapere e il loro continuo lottare, confrontarsi e mediarsi.
Isolati lungo gli 800 Km di costa che delimitano la regione, i fari calabresi si trovano su litorali molto vari: ora, selvaggi come scogli e falesie a picco sul Tirreno, ora levigati e dolci come le dune ioniche.
I fari occupano nell’immaginario collettivo della civiltà mediterranea un posto particolare, perché hanno avuto il ruolo di guida e di garanzia delle sicurezza dei traffici e degli approdi, una sorta di segnaletica stradale per gli ultimi 3000 anni, nei sentieri marini del grande bacino interno delle nazioni che è il Mar Mediterraneo.
Pertanto, non sono semplici edifici, – sono vere istituzioni che potrebbero raccontare secoli di Storia e di Civiltà stratificati.
Inoltre, sono presenze rassicuranti nella vita di tutti i giorni per i naviganti della Calabria. Sono infatti torri, che con tutta la loro imponenza racchiudono, come un simbolo o un’icona, tutto il senso della solitudine e della forza interiore di generazioni di marinai. Il loro travaglio quotidiano e lo sforzo di pescare, trasportare merci e fare cabotaggio.
La visibilità dei Fari dal mare aperto definisce, nello stesso tempo, tutto il fascino romantico di queste torri luminose, perché per essere visibili devono spesso essere costruite in punti impervi, difficili da raggiungere e svettanti. Non da poco è poi il profondo senso di altruismo che è manifestato dalla loro luce, dai loro specchi e cristalli, che proiettano nei naviganti la rosea prospettiva di un porto sicuro, di una posizione, di una certezza della terra sia in caso di nebbia che di pioggia.
Il loro valore, tuttavia, non diminuisce neanche durante il bel tempo, perché in una notte serena offre la sensibile presenza della terraferma e delle case a cui ritornare.
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I Fari calabresi non si sottraggono a questa missione o destino. Partendo da Scalea, nell’Alto Tirreno cosentino, già si fanno incontro ai turisti due svettanti edifici dipinti di rosso, con merlatura e fregi bianchi e una grande lanterna quadrata (attivi già dal 1922, come faro e alloggio del farista).
Poi si susseguono, lungo la costa cosentina, i fari di Capo Bonifati e quello antico di Paola, la “Torre del Soffio”, fortino di difesa del XVI secolo.
L’area costiera della provincia di Reggio Calabria è, invece, la “finis terrae” del piede Calabrese della penisola italiana. Qui, il nostro itinerario, prima del giro di boa, ci permette di guardare ammirati alla torre bianca su base nera del faro entro le mura del Castello Ruffo di Scilla; poi si possono guardare i lampi rossi del Faro di Punta Pezzo, a Villa San Giovanni; di seguito da una veloce imbarcazione si può rimirare il Faro di Capo dell’Armi; seguirà quello di Capo Spartivento e, infine, la torre luminosa di Punta Stilo, che getta i suoi raggi intermittenti sul Parco Archeologico dell’antica Kaulon, con le sue rovine giacenti da quattro millenni, a ricordare le origini di tutto l’occidente e dell’Europa.
Tra i fari che costellano le coste calabresi sul versante ionico possiamo, invece, citare in modo speciale quelli di Capo Colonna e di Punta Stilo, che fanno da sentinella alle coste sabbiose del litorale tra Crotone e Stilo. Entrambi occupano da millenni i promontori essenziali alla navigazione degli antichi Greci, Fenici e Achei, i quali, anziché lanciarsi in mare aperto, costeggiavano le linee di costa, svolgendo solo un comodo cabotaggio. Le reliquie fossili di questi antichi fari sono state lungamente studiate, come tra i più importanti siti della Magna Grecia, dal famoso Paolo Orsi (1859-1935), vero fondatore dell’archeologia calabrese.
La lunga trafila della navigazione sul versante ionico ci porta infine al Faro di Porto Vecchio, a Crotone, a quello di Capo Rizzuto, al già citato Capo Colonna, quest’ultimo capace di lanciare sfolgoranti lampi bianchi che illuminano a giorno il mare di Le Castella (KR).
OCCASIONE PER IL TURISMO
Se i fari emanano solitudine, nel loro muto presentarsi nella distesa marina, tuttavia sono anche un segno della presenza umana, da cui sono abitati. Sono strutture infatti inscindibili da quelle dei guardiani, i veri custodi della luce per le rotte notturne dei naviganti, dato che a loro spetta o avviare i fari o sorvegliare la loro accensione automatica.
Da tempo, le torri di guardia, non contengono, dopo i progressi della tecnica, semplici falò di legna. Il fuoco è stato sostituito dal petrolio, dal gas, dall’elettricità, inoltre l’efficienza dei segnalatori luminosi è stata migliorata con sistemi di specchi concentrici, fino all’attuale automazione e al controllo da remoto.
Oggi resistono solo alcuni vecchi guardiani dei fari, ma sono ormai dei professionisti, dei lavoratori altamente specializzati che, forse, nell’immaginario, mantengono un po’ del fascino dei loro predecessori.
Molta storia è passata dall’ellenistico Pharos di Alessandria, una le sette meraviglie del mondo antico, sino alle costruzioni odierne, passando finanche per la Statua della Libertà, faro di New York dal 1902, mentre in Italia i fari più belli paesaggisticamente sono oggi, invece, il Faro di Punta Palascio ad Otranto e quello di Capri.
La storia e la natura sono quindi ottimi motivi per guardare ai fari come occasioni di turismo. Si tratterebbe di un aspetto fondamentale, questo, anche per fare crescere la Calabria, per amarla e per svelarne le meraviglie, impensate anche da parte dei residenti che vi sono nati.
Sarebbe un‘occasione per tutti coloro che desiderano inoltrarsi nel connubio conoscenza/bellezza che promana dai fari e dal loro legame con l’archeologia.
I colori dei fari di oggi infatti sono un caleidoscopio di sensazioni per il turista. A parte le tracce archeologiche indissociabili dalla loro costruzione, i loro contorni ambientali variano dal color sabbia, bianco o dorato del litorale, allo smeraldo della vegetazione, al blu del mare. Anzi il mare, naturale sposo della costa, lambisce instancabilmente l’ambiente dei fari, ora accarezzandolo, ora stringendolo in abbracci impetuosi e spumeggianti. Il mare calabrese tra l’altro è composto di pietre pregiate: lo zaffiro, l’acqua marina, il turchese, la giada, l’ametista. I fondali, invece, offrono costanti giochi di luce e la purezza delle acque contribuisce a donare una varietà cromatica unica ai due mari del Tirreno e dello Ionio.
Il connubio fari-archeologia accompagna il turista da Capo Suvero fino a Punta Alice (KR), passando per i resti del Tempio di Apollo Aleo (V secolo), per concludersi sotto il Faro di Capo Trionto, a Rossano Calabro (CS), estremo punto dell’arco di costa cha dal Tirreno termina nello Ionio.
E’ chiaro quindi come i comuni di Cirò Marina, Crotone, Isola Capo Rizzuto, Monasterace, Palizzi, Motta San Giovanni, Villa San Giovanni, Scilla, Ricadi, Gizzeria e Paola potrebbero avere dei benefici per il turismo.
Perché conoscendo i fari e la loro storia, il turismo potrebbe conoscere anche il territorio ai quali appartengono, la cui storia ed enogastronomia sono ancora un po’ esclusi dai circuiti turistici tradizionali.
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Il seguente excursus dei principali fari calabresi si muove dal Nord del Tirreno allo Ionio, iniziando dalla torre di Capo Suvero e terminando con quella di Punta Alice.
FARO DI CAPO SUVERO
Il nostro itinerario inizia tra i fari della Calabria, soffermandosi sul tratto catanzarese di Capo Suvero dove, accanto a una torre poligonale più antica, svetta quella quadrata di 25 metri.
Nei dintorni solo alcune torri di avvistamento ormai diroccate, che mantengono il fascino degli avvistamenti saraceni. Il punto è anche il tratto di minore estensione della Calabria.
FARO DI CAPO VATICANO (COSTA DEGLI DEI)
La Costa degli Dei ha un nome maggiormente evocativo, in termini di miti e leggende mediterranee.
La notte il faro accoglie le imbarcazioni coi bagliori notturni dei fari di Vibo Valentia e Capo Vaticano (VV), due torri cilindriche immerse in panorami mozzafiato.
Ma, in particolare, il faro di Capo Vaticano è uno dei pochi fari che non è oscurato verso terra, per cui anche la gente del luogo riesce ad apprezzare il suo fascio di luce durante la notte.
Il faro è in posizione suggestiva a pochi metri dallo strapiombo sugli scogli di Ricadi, in vista delle incantevoli Isole Eolie.
FARO DI SCILLA
Il faro è costituito da una torre di circa 4 metri di altezza. E’ ospitato dalla rupe di Scilla, una massa rocciosa che si staglia molto alta a picco sul mare.
Essendo posto dentro il castello dei Conti Ruffo, è un invito naturale a visitare turisticamente Scilla, una delle più rinomate destinazioni del Mar Tirreno. Infatti, dal faro si gode la vista di Scilla durante il tramonto, un tratto della notissima costa viola, da cui osservando il mare, si può rievocare il mito omerico di Scilla e Cariddi.
FARO DI PUNTA PEZZO
Questo faro è immerso nella città e con una splendida vista verso la Sicilia. E’ visitabile mediante una scala a chiocciola interna ed è un faro moderno, con un quadrante totalmente rosso.
Il faro di Punta Pezzo in Calabria è gemellato con quello di Capo Peloro in Sicilia. Infatti, entrambi indicano l’ingresso nello Stretto di Messina: il primo con segnalazione di colore rosso, il secondo verde.
FARO DI PUNTA D’ARMI
Il Faro di Capo dell’Armi ha luci bianche intermittenti, è eretto su una torre ottagonale a strapiombo sul mar Ionio nella Città di Motta San Giovanni (Reggio Calabria) e risulta essere il più antico tra i fari della provincia reggina. Infatti, il più recente è il Faro di Punta Pezzo a Villa San Giovanni.
Fa da premessa, in direzione nord, al Faro di Capo Spartivento ed ancora, sempre in provincia di Reggio Calabria, al Faro di Punta Stilo che si trova sul promontorio omonimo, nel comune di Monasterace e, infine, al già menzionato Faro di Scilla che si trova su una terrazza del castello Ruffo di Scilla sullo stretto di Messina (riferimento obbligato per le navi che imboccano lo Stretto da Nord).
Il faro di Punta D’Armi offre una magnifica visuale sull’Etna, il vulcano più alto d’Europa ed è poco distante dalla panoramica strada statele (SS) 106 a strapiombo sullo Ionio.
FARO DI CAPO SPARTIVENTO
E’ una costruzione bianca, a due piani, risalente al 1867, sormontata da una torre quadrata alta 19 metri, che si eleva sul mare per 81 metri, e che lancia una luce visibile da 11 a 30 miglia.
Il Faro di Capo Spartivento in Calabria è tra i luoghi più a Sud del Sud, che illumina la distesa marina da oltre un secolo e mezzo. Si trova a Capo Spartivento, al confine tra Palizzi e Brancaleone, sul litorale ionico della città metropolitana di Reggio Calabria. E qui, lungo la Strada Statale 106 piena del profumo dei gelsomini, si trova anche una lapide, che sovrasta l’ingresso della torre su base quadrangolare con edificio ad un piano, e riporta la posizione del faro in base al meridiano di Parigi, passante per il centro dell’Osservatorio della capitale francese (2° 20′13,82″a est di Greenwich).
Il faro è stato rinnovato internamente ed esternamente nel 1910. Dal 1935 è alimentato ad elettricità, è meccanizzato dal 1995.
Il capo ha persino una storia intrecciata con il mito; il suo nome antico era infatti Heracleum Promontorium, o Erculeum Promontorium (il promontorio di Eracle, Ηράκλειον ἃκρα) e pare che Ercole, l’eroe figlio di Zeus e Alcmena, abbia riposato qui dalle fatiche ordinate da Euristeo. La zona è anche il confine antico tra le due colonie Magno greche di Rhegion e Lokroi Epizephirioi. Cita il faro anche il geografo greco Strabone (Geografia, VI, 1, 7): “Segue poi il promontorio di Eracle, che è l’ultimo ad essere rivolto verso Mezzogiorno: infatti chi doppia questo capo naviga direttamente spinto dal Libeccio, fino al promontorio Iapigio; poi la rotta inclina sempre più verso Settentrione e verso Occidente sino al golfo Ionio (Parte meridionale dell’odierno mar Adriatico). Dopo il promontorio di Eracle si trova quello di Locri, detto Zefirio, che ha il porto protetto dai venti occidentali e da ciò ne deriva anche il nome“.
Altra leggenda cristiana, invece, narra dell’eremita Sant’Elmo, che viveva di questua in una grotta poco lontana e che, dovendo provvedere anche alle sette orfane di suo fratello, riceve la visita miracolosa di San Cristoforo. Infatti l’eremita non sapeva come sfamare le nipoti e San Cristoforo gli ordina di piantare, a mò di faro, una lanterna sugli scogli, per salvare i poveri contrabbandieri che andavano per mare. Da quella sera, Sant’Elmo, fece come gli era stato detto e ricominciata la questua, non passò giorno che non tornasse nella grotta con le bisacce piene di ogni bene, dono dei contrabbandieri grati per l’aiuto.
La leggenda è dunque che, dopo tanti secoli dalla sua morte, Sant’Elmo, scenda ancora dal cielo presso Capo Spartivento con la lanterna accesa e salvi le navi che stanno per naufragare, ormai custode del promontorio e del bianco faro di Capo Spartivento.
FARO DI PUNTA STILO
Il faro di Punta Stilo, come quello di Capo Colonna, è un luogo intriso di storia e pertanto magico. La sua torre svetta su una collinetta che si affaccia sugli scavi archeologici dell’antica Kaulon, lungo il percorso della statale 106, non lontano dal museo archeologico di Monasterace.
Il faro illumina i resti della colonia greca di Punta Stilo, un luogo dove trovò le sue origini Kaulon (oggi detta Caulonia) in un momento indeterminato del VII secolo a.C.
Della colonia greca rimangono alcuni blocchi abitativi di età ellenistica e pregevoli scavi di epoca achea nella vicina Monasterace.
FARO DI CAPO COLONNA (CROTONE)
Il faro è ornato presso Capo Colonna dalla sede del santuario greco di Hera Lacinia, che a breve distanza dalla costruzione marina è uno dei più famosi siti archeologici del Mediterraneo.
Il tempio, per così dire sorvegliato dalla torre luminosa del capo, è esso stesso un faro di cultura di immenso valore per la civiltà occidentale, dato che testimonia in modo visibilissimo il passaggio della cultura greca da Crotone, con la sua pregevole colonna dorica e con la comprovata presenza di Pitagora in epoca magno-greca (e la sua fondamentale scuola matematica).
Il museo poco discosto contiene infatti un’abbondanza di reperti, che, per qualità e varietà di preziosi oggetti qui venuti alla luce, prova la devozione degli antichi Crotonesi alla dea nel V secolo a.C.
FARO DI PUNTA ALICE
Chiude l’excursus dei fari calabresi iI faro di Punta Alice, il quale sembra piuttosto una cattedrale nel deserto con la sua costruzione, che si erge a circa 200 metri di distanza dalla costa.
La spiaggia è lontana, ma dal fondale in barca è possibile apprezzare tutto lo splendore dello Ionio, un invito al turismo, ad attraversare il mare calabrese, con i suoi colori cangianti dallo zaffiro all’acqua marina, al turchese, la giada, l’ametista…