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Zafferano, l’oro Calabrese

Nei secoli passati la provincia di Cosenza era nota per la produzione di zafferano, il c.d. oro rosso.

E ancora oggi, alcune persone, nel solco di questa tradizione, hanno talmente creduto nella preziosa spezia, da legare il business alla figura leggendaria del re goto Alarico, anche se è certo che il fiore rosso è noto sin dai tempi di Cleopatra, passando per la Francia di Richelieu e per il Grand Tour settecentesco di nobili rampolli d’Europa.

Oggi lo zafferano è una storia di impresa e comunità. Alcuni residenti della provincia di Cosenza hanno persino concesso gratis i terreni alle cooperative di comunità che coltivano il prezioso fiore. E’ infatti questa è l’avventura di imprese resilienti, dotate di forte identità e di passione per un tesoro che la Calabria talvolta non ricorda di possedere.

Campi alle pendici dei monti


LA SPEZIA DI CLEOPATRA

Storicamente, lo zafferano ne ha fatta di strada dai tempi di Cleopatra alla Calabria di oggi! La regina egizia lo usava ogni giorno per dorare la propria pelle. E anche così, riscopriamo lo zafferano  come antenato del glitter nella cosmesi di oggi.

La provincia cosentina, di seguito, è stata una delle maggiori esportatrici al mondo; vi sono fonti storiche che raccontano della sua produzione sin dai tempi dei Goti di Re Alarico, fino al 1500 nella Pre-Sila. E la tradizione continua in queste terre, dove, oggi, lo zafferano autentico è una spezia tra le più costose sul mercato, con un fixing oscillante intorno ai 25 euro al grammo.

Cleopatra

IL TESORO SULLE COLLINE DI RE ALARICO

C’è un momento, tra ottobre e novembre, in cui le colline della provincia di Cosenza, le antiche dimore di Alarico, si tingono di viola, proprio mentre intorno l’autunno ha già spento tutti i colori. È l’ora della fioritura dello zafferano, che dura circa 15 giorni, poi i coltivatori diretti si recano nei solchi a raccogliere i fiori uno per uno, un lavoro meticoloso, svolto personalmente, perché richiede estrema cura. Infatti, il fiore raccolto deve arrivare integro alla fase della “sfioratura”, parola ricca di fascino poiché contiene in sé l’atto di eliminare il fiore dal gambo, ma anche la necessità di farlo con estrema delicatezza.

Re Alarico

L’AFRODISIACO DI RICHELIEU

Non c’è rassegnazione nelle parole di una giovane e caparbia imprenditrice cosentina. «La strada da seguire è sicuramente quella di unire le forze», dice. «Noi piccoli produttori siamo tanti e tutti abbiamo difficoltà simili che possiamo superare creando una rete, una collaborazione che ci consenta di stare sul mercato e di diventare davvero competitivi. In questo momento stiamo valutando nuove strategie». Piccoli, ma tenaci come il fiore di croco di quell’oro rosso, che è lo zafferano.

Il cardinale Richelieu

In passato con lo zafferano si curavano reumatismi, gotta e forti infiammazioni come il mal di denti. Era usato anche come afrodisiaco (tra gli abituali consumatori, pare vi fosse il cardinale Richelieu). Per gli imperatori e i sacerdoti romani era un prezioso profumatore di saloni sfarzosi e templi, i contadini calabresi lo spargevano sul letto della prima notte degli sposi.

I preziosi pistilli

Una spezia, dunque, dai mille usi, un mondo da scoprire.

L’ORO ROSSO E IL GRAND TOUR

Dalla città di Cosenza partivano carichi di zafferano in pieno Rinascimento, richiesti in tutto il mondo. Dal settecento i poi, lo zafferano era una delle esperienze di viaggio dei Grand Tour dei giovani nobili. Ancora nel 1844 Luigi Zucoli, autore di una celebre Guida per Viaggiatori, citava questa ricchezza bruzia. Mentre, nel 1862, Carlo Arrivabene parlava di tre rarità del sud: i vini siciliani, le donne di Bagnara e lo zafferano di Cosenza.

Raccolta manuale dei fiori

FIORI D’OTTOBRE

Quella dello zafferano è, in definitiva, una produzione molto semplice: si piantano i bulbi intorno a ferragosto, quando la temperatura comincia a cambiare. La pianta cresce in pochi mesi, a fine ottobre fiorisce. È questo il momento più importante, perché tutto deve essere svolto in pochissimo tempo e manualmente, per non rovinare i fiori, molto delicati, che devono essere adagiati ordinatamente nelle ceste.

A questo punto la lavorazione prosegue in laboratorio, dove il fiore viene separato dal pistillo (è questa la cosiddetta “sfioratura”), che verrà poi essiccato. Lo zafferano ottenuto viene infine conservato nel vetro, in attesa di essere imbustato e confezionato. Di ciò che si produce resta in Calabria circa solo il 10%.

La magia viola dei campi calabresi

APPREZZATO DAGLI CHEF

I clienti delle aziende produttrici di zafferano calabrese sono per lo più ristoratori. La spezie, anche cara alla Sardegna e indispensabile per il famoso risotto alla milanese, oggi è laboratorio gastronomico di chef stellati che valorizzano anche le tradizioni calabresi. Lo zafferano è, infatti, il prodotto più richiesto, apprezzato e contraffatto al mondo, dove la piccola produzione calabra deve misurarsi con quelle intensive dell’Iran, del Marocco e della Spagna. Questi paesi portano sui mercati, infatti, uno zafferano che al grammo arriva a costare due euro, contro i venticinque di quello italiano.

Comunque, la ricerca enogastronomica prosegue – spiegano i produttori – permettendo al territorio calabrese di rintracciare un legame forte tra la cultura nazionale ed il racconto di epoche passate. Ed è un aspetto fondamentale, perché i gourmet, ma anche il consumatore medio, vogliono apprezzarne le qualità e anche conoscerne la storia.

Un fiore meraviglioso

Non sono solo grandi chef gli amici e i partner dello zafferano di Calabria, il vero tesoro è il popolo di consumatori abituali, che apprezzano quotidianamente quello che hanno sotto gli occhi, il “terroir”, la terra, ma anche la storia, la tradizione culinaria ed il racconto familiare.

L’essenziale, con lo zafferano, è infatti in ciò che si ha sotto gli occhi: Il tempo della degustazione, le preziose bontà del territorio, il patrimonio dell’esistente, che bisogna cercare, apprezzare e preservare per ciò che esso dà.

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Vino calabrese: metagenomica e archeologia

Il vino è una coltura per la quale è stato dimostrato l’effetto positivo del terroir calabrese, con un’antica storia risalente ai Greci, o persino prima ai Fenici, di sviluppo di vini pregiati. Il terroir dà buona prova di sè anche oggi, con almeno 12 DOC.

Il “concetto di terroir” è diventato popolare in molte parti del mondo. Originariamente sviluppato per il vino, ora viene applicato a molte altre colture di qualità, ma sicuramente e principalmente per il vino. Sebbene sia ben noto che il suolo del vigneto è uno dei principali fattori caratterizzanti il terroir, è altrettanto noto che le proprietà del suolo possano variare notevolmente anche all’interno di un singolo appezzamento, tanto che un vigneto, ad esempio, potrebbe produrre due o più tipologie differenti di vino. L’ottimizzazione dell’agricoltura in relazione alle caratteristiche del suolo è quindi l’obiettivo principale dell’agricoltura calabrese.

DNA, Analisi del terroir

METAGENOMIA DEL VINO CALABRESE

In Calabria, una parte considerevole di alimenti tipici, come latticini, olio d’oliva, vino, frutta e verdura e cereali godono di una vera e propria denominazione d’origine mediterranea. Infatti, sono protetti da una “denominazione di origine” e le metodologie analitiche utilizzate per l’identificazione geografica dei prodotti alimentari sono numerose, anche purtroppo ancora, e per lo più, sperimentali. I più importanti strumenti sono l’analisi del DNA e le tecniche cromatografiche, spettroscopiche e di spettrometria di massa.

L’analisi del DNA, utilizzando la metodologia DNA-barcoding, consente di identificare l’impronta digitale di ogni prodotto, garantendone origine e qualità.

Un’altra prospettiva molto importante per il vino mediterraneo e calabrese in particolare è quella delle sequenze di DNA “ambientali”, uniche per ogni specie o sottospecie, da utilizzare come ”codice a barre” per identificare un prodotto confrontandole con un database contenente le sequenze di tutte le specie conosciute. Questo approccio è chiamato “Metagenomica del vino”.

La tecnica è però sperimentale, come detto, e scarsamente implementabile. Solo nel 2009 è stato condotto, per la prima volta, in Sila un esperimento di metagenomica sulle patate (sono stati individuati tre tipi di terreno e i relativi marcatori metagenomici), l’estensione del metodo al vino è ancora solo una prospettiva futura.

Il processo è l’identificazione dei cosiddetti marcatori molecolari per la tracciabilità della filiera agroalimentare, tuttavia può diventare una nuova sfida per la tutela dei prodotti di alta qualità.

I fattori metagenomici: microbi, terreno e vite

Nel mondo, infatti, gli ultimi 2 decenni sono stati caratterizzati da un importante cambiamento negli approcci utilizzati per l’esame microbico, dovuto all’introduzione di metodi di community fingerprinting basati sul DNA come DGGE, SSCP, T-RFLP e ARISA. Questi approcci hanno consentito l’esplorazione delle strutture della comunità microbica senza la necessità di coltivare e sono stati ampiamente applicati per decifrare le popolazioni microbiche associate alla vite, nonché le dinamiche microbiche durante la maturazione degli acini d’uva e la fermentazione del vino.

Queste tecniche sono ben consolidate per la profilazione rapida e più sensibile delle comunità microbiche e questi approcci metagenomici all’ecologia microbica del vigneto svelano in particolare l’influenza delle pratiche di gestione del vigneto sulla diversità microbica.

Terroir calabrese del cirotano (KR)

ARCHEOLOGIA DEL VINO ED ENOLOGIA DEL MEDITERRANEO

Lo sviluppo di queste tecniche ha avuto ricadute anche sull’archeologia del vino.

Infatti, un tentativo molto importante di identificare l’origine metagenomica del vino di riso è stato fatto da alcuni scienziati cinesi (stiamo citando il noto articolo “Metagenomic sequencing reveals the relationship between microbiota composition and quality of Chinese Rice Wine”, Xutao Hong, Jing Chen, Lin Liu, Huan Wu, Haiqin Tan, Guangfa Xie, Qian Xu, Huijun Zou, Wenjing Yu, Lan Wang & Nan Qin, – in Scientific Reports volume 6, Article number: 26621, year 2016).

Il recente esperimento metagenomico sul vino di riso è molto interessante, se ricordiamo che ha permesso di identificare le prime tracce archeologiche di vino, le quali si possono trovare proprio in Cina, nel 7000 a.C., quando il primo tipo di vino della storia umana fu una miscela fermentata di miele, “riso ”, uva e bacche di biancospino. Inoltre, il vino di riso è ancora oggi una bevanda diffusa in Cina, mentre il primo vino puro di uva è databile al 6000 a.C. e geograficamente collocato nella regione della Georgia e del Caucaso in generale.

Recenti notizie del 2023 riferiscono, persino, che l’origine dell’uva e quella del vino, finora un mistero irrisolto, risalgano addirittura a 11mila anni fa, grazie a due eventi di domesticazione geograficamente separati da più di 1.000 chilometri, ma simili nel risultato.

Si sono verificati in Asia occidentale e nella regione del Caucaso. A ricostruirlo è stata la più grande analisi genetica mai condotta, che ha preso in esame oltre 3.000 campioni di vitigni provenienti anche da collezioni private ed esemplari mai documentati. Da quella zona la vinificazione si è poi diffusa nel mondo fenicio, greco e latino…

Mappa di Vitis vinifera (periodo neolitico). Credito immagine: rivista Science

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science, conquistando anche la copertina, dal gruppo internazionale guidato da Chinese Agricultural University of Yunnan, State Laboratory of Agricultural Genomics di Shenzhen e Chinese Academy of Sciences di Pechino, con la collaborazione italiana del Università di Milano, Milano-Bicocca e Mediterranea di Reggio Calabria, del Centro Nazionale per la Biodiversità (Nbfc) di Palermo e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).

In particolare, gli scienziati cinesi hanno studiato l’influenza della composizione microbica sulla qualità del vino di riso e il sequenziamento è stato eseguito per 110 campioni di vino sul gene 16S rRNA batterico e sullo spaziatore trascritto interno II (ITS2) fungino.

Le analisi bioinformatiche hanno dimostrato che la metagenomica del vino di riso è contrassegnata da Lactobacillus brevis. Questi risultati non hanno solo avuto risvolti decisamente importanti per l’acheologia del vino, ma hanno anche portato, più praticamente, alla conclusione che i metabolismi dei microbi influenzano la qualità del vino e possono segnarlo.

PROSPETTIVE: ENOLOGIA CALABRESE E ARCHEOLOGIA DEL VINO

Le nuove tecniche di Metagenomica sono un nuovo campo aperto per dimostrare la migliore qualità dei suoli calabresi e dei loro vigneti. Inoltre, l’archeologia del vino può avvalersi di questo metodo per indagare la storia del vino nel meridione d’Italia, come patrimonio ambientale della storia fenicia, greca e latina nei vini calabresi.